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Fellini Fellini, una dichiarazione!




A 25 anni dalla sua morte RaiMove dedica la prima e la seconda serata al regista, bene, io per un caso fortunato ho avuto accesso ad un archivio di interviste e stralci di giornale. Non posso certo tenere tutte per me le parole, che sono state i suoi pensieri, le sue idee, il suo cinema, ne mi va di scattare una, due, tre foto per rendervi l’idea. 

Voglio invece riportarvi, testuali, alcune riflessioni più o meno pubbliche che nel marasma di questa giornata commemorativa, potrebbero rimanere celate (il che sarebbe veramente un peccato). Ce ne sono davvero moltissime, sui temi più diversi che lo hanno interessato da regista, da artista e intellettuale, non so da dove cominciare, comincio da qui.

Lui è sempre un po' schivo con i giornalisti, viene contattato da tutte le testate italiane e internazionali più o meno ogni giorno, preferirebbe lavorare ai suoi soggetti senza interferenze, o quantomeno dedicarsi alla stampa a lavoro finito, senza anticipi, ma lui è Fellini, tutto può pretendere tranne che rimanere in silenzio, allora se colto nel segno, parla, e dice, a proposito della censura, che lo ha coinvolto ripetutamente in modo ingombrante:

F.F. “La censura è sempre uno strumento politico, non è certo uno strumento intellettuale. Strumento intellettuale è la critica, che presuppone la conoscenza di ciò che si giudica e combatte. Criticare non è distruggere, ma ricondurre un oggetto al giusto posto nel processo degli oggetti. Censurare è distruggere, o almeno opporsi al processo del reale. C'è una censura italiana che non è invenzione di un partito politico ma che è naturale al costume stesso italiano. C'è il timore dell'autorità e del dogma, la sottomissione al canone e alla formula, che ci hanno fatto molto ossequienti. Tutto questo conduce dritti alla censura. Se non ci fosse la censura gli italiani se la farebbero da soli.”

Ma i giornalisti si sa come sono, insistenti, estenuanti, non si accontentano mai, anche quando su un film è stato detto tutto, continuano a pretendere chissà quali dichiarazioni, chiarimenti, approfondimenti, continuano, imperterriti a domandare, a scavare (a volte menomale, altre male e basta) :

F.F. “Non faccio un film per dibattere tesi o sostenere teorie. Faccio un film alla stessa maniera in cui vivo un sogno. Che è affascinante finché rimane misterioso e allusivo ma che rischia di diventare insipido quando viene spiegato. Non voglio dimostrare niente, voglio mostrare”.


Oppure altro cavallo di battaglia della categoria sopracitata, (quella a cui appartengo anche io ok, anche se oggi, bho) la richiesta di fare un bilancio, a tutti i costi sul proprio percorso, sulla propria carriera, sui propri lavori:

F. F. “Dai bilanci ho sempre rifuggito, sono operazioni masochistiche e inutili: neppure i bilanci degli Stati o delle società funzionano, figuriamoci quelli di un regista. È chiaro che in questa fase, del Paese e del mio mestiere, finire un film mi sembra abbia un sapore diverso: dato che il cinema pare un passatempo rituale e sorpassato, non sai se e quando ricomincerai a lavorare, se potrai, se ne avrai voglia...”

In questo archivio trovo anche un plico di sogni appuntati per un ipotetico futuro, ne scelgo uno tra tutti, perché è l’emblema di un gigante che nonostante tutto ha ancora desideri da esprimere, tipo questo: 

F.F. “Mina. Io vorrei provarla come attrice. Ha la faccia della luna. Gli occhi sono dolci e crudeli. La bocca chiama dal cielo le comete: basta un fischio. Poi è tanta. Il mio amico Alberto Sordi dice che è "'na fagottata de roba". È un tipo che entra nelle mie storie. Avrebbe fatto bene anche la Gradisca”.


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