Tra
fine Ottocento e primo Novecento, visse una donna impetuosa e
intuitiva, a volte un po’ sconsiderata e difficile, che nelle stanze
mondane della bella vita parigina diede miccia al genio e
all’avanguardia, arricchendo (per nulla ingenuamente) un corollario di
bellezza, destinato all’eterno.
Signora dell’arte e degli artisti, la donna in questione è Misia Sert
che nel suo essere esageratamente se stessa, volle per tutta la vita,
vivere come un’opera d’arte, ammirata, chiacchierata e sospirata da
molti, ma non proprio da tutti, più che altri da Proust, Stravinsky, Diaghilev, Nijinsky, Debussy, Tolouse Lautrec, Picasso, Ravel, Cocteau e dai più grandi.
Alle sue memorie, alle sue corrispondenze e alla sua eccentricità si ispira “Io sono Misia”, l’inedito testo teatrale del poeta Vittorio Cielo, che si fa vivo con la perfetta interpretazione di Lucrezia Lante della Rovere e l’impeccabile regia del leveranese Francesco Zecca, il quale per la terza volta, di seguito inquadra una importante Storia di Donna, che il 3, 4 e 5 Luglio debutterà al Festival di Spoleto, officina teatrale per antonomasia e luogo immancabile per i grandi artisti internazionali. www.festivaldispoleto.com/
Un monologo che raccoglie e svela le
venature più concitate di una vera e propria cercatrice di talenti,
amica influente e definitiva dei protagonisti della bella epoque, che al
testo e alle parole, accorda le musiche originali nate in casa di
Misia; sottofondi e composizioni d’epoca, modellate sui ricordi e la
storia, che esplodono nell’esecuzione di Lucrezia Lante della Rovere, splendida narratrice di donne.
Lo spettacolo è promosso dalla
Fondazione Devlata e Marina Lia che dal 2005 lavorano con passione e
impegno per promuovere l’Arte e la Cultura. www.fondazionedevlata.eu/
Tratto dal testo teatrale:
…”Io non partorisco. Io-Faccio-Partorire.
Gli uomini hanno bisogno di una sfinge, per partorire… la bellezza. Per diventare artisti.
Io li faccio partorire. Li ho fatti partorire, tutti!…
Dicono che il mio talento sia saper annusare il talento.
Dove tutti vedono un nano, io vedo un Toulouse – Lautrec.
Se c’è una tizia a occhi bassi, contro il muro, io sento profumo di Cocò, nel senso che avrà per le donne, Chanel.
Sono una cercatrice di geni. Una cercatrice di meraviglie umane.
Con i miei occhi color malva, ho visto ora dopo ora, inevitabilmente… Pablo Ruiz trasformarsi nel mostro-Picasso.
Debussy disteso sui miei divani, sognare il sesso del fauno.
Cocteau fare la corte agli attori come in Marocco. Stravinsky incendiarsi nella Sagra di Primavera. Ravel ricamare musica per dispetto di Satie.
Il carnefice di ballerini Diaghilev, il Domatore di Nijinsky, far impazzire quel dio della danza.
E Proust, scrivere ogni cosa, ogni parola… detta da tutti. Fino a mettermi nella seconda riga, della prima pagina, della Recherche.
Il libro che non finirà mai, perché il Tempo… è infinito.
Come il genio che divampa negli uomini.
Le università la chiamano ‘cultura’. Io la chiamavo: averli tutti a cena da me, a casa.”
…”Io non partorisco. Io-Faccio-Partorire.
Gli uomini hanno bisogno di una sfinge, per partorire… la bellezza. Per diventare artisti.
Io li faccio partorire. Li ho fatti partorire, tutti!…
Dicono che il mio talento sia saper annusare il talento.
Dove tutti vedono un nano, io vedo un Toulouse – Lautrec.
Se c’è una tizia a occhi bassi, contro il muro, io sento profumo di Cocò, nel senso che avrà per le donne, Chanel.
Sono una cercatrice di geni. Una cercatrice di meraviglie umane.
Con i miei occhi color malva, ho visto ora dopo ora, inevitabilmente… Pablo Ruiz trasformarsi nel mostro-Picasso.
Debussy disteso sui miei divani, sognare il sesso del fauno.
Cocteau fare la corte agli attori come in Marocco. Stravinsky incendiarsi nella Sagra di Primavera. Ravel ricamare musica per dispetto di Satie.
Il carnefice di ballerini Diaghilev, il Domatore di Nijinsky, far impazzire quel dio della danza.
E Proust, scrivere ogni cosa, ogni parola… detta da tutti. Fino a mettermi nella seconda riga, della prima pagina, della Recherche.
Il libro che non finirà mai, perché il Tempo… è infinito.
Come il genio che divampa negli uomini.
Le università la chiamano ‘cultura’. Io la chiamavo: averli tutti a cena da me, a casa.”
Maria Angela Nestola
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