Pur essendo tradizionalmente un mezzo di comunicazione popolare, proprio nel secolo del suo tramonto, il dialetto è divenuto anche una forma del gergo narrativo,
una delle tante maniere privilegiate dagli scrittori, per sfuggire alle
consunte parole della “tribù” e creare una classificazione prestigiosa
di vicende storico-umane legate soprattutto al mutevole e farsesco
vivere cittadino capace di emergere pienamente, solo nel suo parlato
originario.
La stessa maniera privilegiata da Antonio Viva, direttore
responsabile del giornale satirico: “La Macennula” che dal 1979 ad oggi,
ha scelto di raccontare le storie del suo Paese, Copertino,
frequentando la lingua dialettale, praticandola con rara ironia e
dimostrando come questa varietà linguistica non è certo un segno di
arretratezza, quanto piuttosto una forma stilistica, conservativa e
distintiva di una comunità, in grado di comporre magicamente favole e
bozzetti, elegie beffarde ed epigrammi, a metà tra il realismo più
disparato e un pamphlet di eccentriche vignette naif.
Un giornalismo dialettale, quello di Viva e degli altri
redattori, che merita di essere preservato e conosciuto anche fuori dai
confini strettamente territoriali, perché unico, nella sua
“intraducibilità” e nella sua ragione poetica, nel suo essere immediato e
al contempo regresso, nell’essere sottilmente equivoco e
scientificamente esatto nel descrivere situazioni e tipi umani che
diversamente non potrebbero essere incorniciati.
Un giornale letto da
tutti, devoti e “scomunicati” capace di straniamenti collettivi a lungo
termine, di quelli che ricordi e racconti fino all’anno che viene. E’ il
caso di approfittarne dunque, e andare visitare le lunghe stanze del
Castello di Copertino, dove sono in mostra in questi giorni, tutte le
edizioni, anno dopo anno, de La Macennula, dal dopoguerra ad oggi; una
pensata del poliedrico Beppe Viva (figlio di Antonio), per celebrare
appunto il settantesimo Anniversario dalla prima uscita del giornale.
Con accadimenti e episodi di Paese, apparentemente marginali viene costruito il corpo di un giornale identitario, ispirato all’arcolaio di legno usato per la lavorazione del filato (La Macennula appunto) che bonariamente gira intorno ad una “diffusa mania” del copertinese: quella di lasciarsi facilmente corteggiare dal vento, per poi piegarsi, repentinamente ad ogni cambio di soffio.
Con levità ed arguzia, i redattori che dal 1945 ad oggi si sono succeduti e alternati alla guida de La Macennula hanno disegnato miti, luoghi comuni e personaggi esotici che probabilmente, fuori da quegli schizzi caricaturali, lontani dalla quella penna, scollegati da quelle pagine, non sarebbero entrati nell’immaginario paesano con la compostezza degli equilibri satirici.
foto di Carlo Mazzotta (carlomazzotta.blogspot.it)
Maria Angela Nestola
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